Io, Ibra"Puoi togliere il ragazzo da Rosengård, ma mai Rosengård dal ragazzo." Così recita lo striscione appeso sul tunnel che Zlatan, da piccolo, percorreva con il cuore in gola per tornare a casa. Ed è vero. Perché è da quella periferia di Malmö che Zlatan è partito per costruire la sua leggenda, da un paio di scarpette comprate per cinquantanove corone in un supermercato. Ovunque è andato si è portato dentro il desiderio di una rivincita su chi lo guardava male perché non si metteva in fila con gli altri, sui genitori dei compagni che facevano raccolte di firme per cacciarlo dalle squadre, sugli allenatori sempre pronti a criticarlo. Quella voglia di essere più forte di tutti lo ha portato dal Malmö all'Ajax, per raccogliere l'eredità di un gigante come Van Basten; quindi alla Juventus, dove Capello lo riplasma tirandogli "fuori l'Ajax dal corpo a legnate"; poi all'Inter, dove convince Moratti che il primo problema è la divisione in gruppetti nello spogliatoio e porta tre scudetti consecutivi. A Barcellona resta un anno, giusto il tempo di urlare in faccia a Guardiola «Tu non hai le palle!» dopo l'ennesima esclusione, prima di rientrare in Italia, al Milan, con un nuovo colpo di teatro. La storia di Zlatan continua, e, come dice lui stesso, "è tutta una fiaba. Un viaggio dai sobborghi verso un sogno". Edizione digitale con tavola fotografica. |
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