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che osai quasi sperare che un giorno ella sia per verificarsi; e anche ora, considerandola con animo riposato, non so affatto divezzare l'animo mio dalle dolcezze di tale speranza. Se ad altri pare che io erri, niuno certo sarà tanto crudele da voler togliermi, o tanto rigido da voler vietarmi una fiducia così innocente. E qual più bello spettacolo può affacciarsi alla mente di un Italiano, che la sua patria una, forte, potente, devota a Dio, concorde e tranquilla in sè medesima, rispettata e ammirata dai popoli? Quale avvenire si può immaginar più beato? qual felicità più desiderabile? Se per creare questa formosa Italia fosse d'uopo esautorarne i suoi presenti e legittimi possessori, ó ricorrere al tristo partito delle rivoluzioni, o al tristissimo e vergognosissimo spediente dei soccorsi stranieri, la bontà dell'effetto non potrebbe giustificare l' iniquità dei mezzi, e la considerazione di questi basterebbe a contaminare ed avvelenare il conseguimento del fine. Ma niuna di queste idee torbide, niuna di queste speranze colpevoli contrista il mio dolce sogno. Io m'immagino la mia bella patria una di lingua, di lettere, di religione, di genio nazionale, di pensiero scientifico, di costume cittadino, di accordo pubblico e privato fra i varii Stati ed abitanti che la compongono. Me la immagino poderosa ed unanime per un'alleanza stabile e perpetua de' suoi varii principi, la quale, accrescendo le forze di ciascuno di essi col concorso di quelle di tutti, farà dei loro eserciti una sola milizia italiana, assicurerà le soglie della Penisola contro gl'impeti forestieri, e, mediante un navi

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lio comune, ci renderà formidabili eziandio sulle acque e partecipi cogli altri popoli nocchieri al dominio dell' Oceano. Io mi rappresento la festa e la meraviglia del mare, quando una flotta italiana solcherà di nuovo le onde mediterranee, e i mobili campi del pelago, usurpati da tanti secoli, ritorneranno sotto l'imperio di quella forte e generosa schiatta che ne tolse o loro diede il suo nome. Veggo in questa futura Italia risorgente fissi gli occhi di Europa e del mondo; veggo le altre nazioni, prima attonite e poi ligie e devote ricevere da lei per un moto spontaneo i principii del vero, la forma del bello, l'esempio e la norma del bene operare e del sentire altamente. Veggo i rettori de' suoi varii Stati e tutti gli ordini dei cittadini, animati da un solo spirito, concorrere fraternamente per diversi modi alla felicità della patria, e gareggiare fra loro per accrescerla, per renderla stabile e perpetua. Veggo i nobili ed i ricchi dignitosamente affabili, cortesi, manierosi, modesti, pii, caritatevoli, non apprezzare i privilegi del loro grado, se non in quanto agevolano l'acquisto di quelli dell' ingegno e dell' animo, porgendo loro più ampie e frequenti occasioni di esercitare ogni virtù privata e civile, di beneficare i minori, di attendere al culto e al patrocinio efficace delle buone arti, del sapere e delle lettere. Veggo i chierici secolari e regolari gareggiar co' laici di amore pei nobili studi, eziandio profani, e di zelo pel pubblico bene; consigliare, favorire, promuovere i progressi ragionevoli e fondati con quella riserva e moderazione che si addice alla santità del loro

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ministerio; abbellire colla decorosa piacevolezza dei modi la severità dei costumi illibati; fuggire persino l'ombra dell' intolleranza, dell' avarizia, della simulazione, delle cupidità mondane, delle brighe secolaresche, di tutto ciò che sa di gretto, di angusto, di vile, di meschino; rivolgersi per gli ospizi di carità e di beneficenza, per gli alberghi della dottrina, frequentare gli spedali, le carceri, i tuguri dei poveri, non meno che le scuole, i musei, le biblioteche, le radunate dei sapienti, e coltivare insomma con pari ardore ed assennatezza tuttociò che ammaestra, nobilita, adorna, consola e migliora in qualche modo l'umana vita. Veggo i cultori delle arti meccaniche, e gli uomini dediti alle industrie ed ai traffichi non pensare solamente al loro proprio utile e a quello della loro famiglia; preferire quelle opere ed imprese che tornano anche a profitto e a splendore del lor comune natio; e non immergersi talmente nelle faccende che trascurino di coltivare il proprio animo ed ingegno, avvezzandolo a gustare i nobili piaceri della religione, · della virtù e della gloria. Veggo tutti gli ordini de' laici ossequenti alle leggi e alla religione, riverenti con libero animo e senza genio servile al principato e al sacerdozio, e quanto alieni dall'approvare gli abusi delle cose e i difetti degli uomini, tanto lontani dal confonderli colle instituzioni. Veggo i giovani timidi e modesti senza pusillanimità, verecondi senza affettatura, costanti senza pervicacia, confidenti senza presunzione, ritirati senza selvatichezza, solleciti di rinnovare in sè stessi i costumi degli antichi avi, piuttosto

che quelli dei propri padri; attendere indefessamente agli studi, fuggir l'ozio, la dissolutezza, i vani spettacoli, i donneschi trastulli, le frivole brigate, i civili tumulti; compiacersi della natura e della solitudine; avvezzarsi, non chiaccherando, ma imparando e meditando, a potere un giorno utilmente operare; indurire, esercitare e non accarezzare il corpo, per renderlo ubbidiente all'animo, forte agli assalti, tollerante alle privazioni e indomito ai travagli; volgersi la fatica in piacere mediante la consuetudine; acquistare in tutto la signoria di sè medesimi, come la condizione più necessaria a far cose grandi in qualunque genere, ed essere in somma, non di nome, ma in effetto, le speranze della patria. Veggo gli scrittori consci del grave e sublime ministerio loro commesso dal cielo; non far delle lettere uno strumento di lucro, di ambizione, di potenza a proprio vantaggio, ma di virtù, di coltura, di religione a pro dell'universale; non dividere e troncare le varie discipline, ma compierle, armonizzarle e amicarle colle credenze, mettendo in opera il bello per insinuare negli animi e rendere loro accetto e credibile il vero. Veggo i principi essere gli amici, i benefattori, i padri dei loro popoli; non comportare ai cattivi chierici i loro disordini, non ai cattivi nobili le loro insolenze; mantenere inesorabilmente l'egualità di tutti i cittadini sotto la legge; impiegare l'ampia loro fortuna, non in delizie private, ma in opere di utilità pubblica e degne per l'importanza loro della regia magnificenza. Li veggo intenti con paterna sollecitudine e con affetto spe

ciale a educare, migliorare, felicitare al possibile la povera e meschina plebe; perchè è cosa brutta, orrenda, pagana, degna di perpetua infamia in questo mondo e di eterno supplicio nell'altro, che i regnanti, rovesciando la morale di Cristo, levino al cielo i superbi figliuoli del secolo, per cui fu creato l'inferno, e trascurino gli umili e i tapini, che sono gli eletti di Dio e l'oggetto più caro delle sue compiacenze. E per effettare tutti questi beni nel presente e assicurarli nell'avvenire, io veggo i rettori d'Italia por mano a quelle riforme civili che son consentite dalla prudenza e ragion di Stato, e conformi ai voti discreti della parte più sana della nazione. Veggo protette, onorate, prosperanti l'agricoltura, le industrie, le imprese commerciali, le arti meccaniche, le arti nobili, le lettere, le scienze: veggo l'educazione e l'instruzione pubblica in fiore, e la libertà individuale di ogni cittadino così inviolabile e sicura sotto l'egida del principato, come sarebbe nelle migliori repubbliche. Veggo, in fine, la religione posta in cima di ogni cosa umana; e i principi, i popoli gareggiar fra loro di riverenza e di amore verso il romano pontefice, riconoscendolo e adorandolo, non solo come successore di Pietro, vicario di Cristo e capo della Chiesa universale, ma come doge e gonfaloniere della confederazione italiana, arbitro paterno e pacificatore di Europa, institutore e incivilitore del mondo, padre spirituale del genere umano, erede ed ampliatore naturale e pacifico della grandezza latina. E quindi mi rappresento assembrata a' suoi piedi e benedetta dalla sua destra moderatrice la dieta

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