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allora sconosciuta alla storia, mentre canta il trionfo dell'altra, che, da Abele in poi, fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, peregrinando procede.

Chi non s'adombri alle incessanti antitesi e allo stile brillantato; chi non s'offenda alle particolarità in cui si sminuzza nel determinare la fine delle due città, volendo applicarvi parola per parola l'Apocalisse, senza che gli bastino l'immaginazione per valersi del linguaggio misterioso, e l'alta intelligenza per discernere qual idea convenga o no tradurre in immagini, ammirerà in questo poema l'elevazione onde, prima d'ogni altro, Agostino seppe comprendere con uno sguardo l'intera umanità. Fin dall'età più remota, nell'ordine meraviglioso del mondo fisico avea l'uomo ravvisato un sublime disegno della Providenza, e inteso il linguaggio con cui - i cieli narrano le glorie di Dio ». Ma che sotto la contingente varietà degli avvenimenti ond'è tessuta la storia dell' umana famiglia, si celasse un disegno immutabile e necessario di essa Providenza; il quale gradatamente si compie, malgrado gli ostacoli dell' ignoranza e delle passioni, nessuno dei più grandi filosofi l'avea saputo vedere. Che se anche questi in generale credevano alla Providenza ed ai premj e castighi ch'essa fa tener dietro al bene e al male si degl' individui sì delle nazioni, non pensavano tampoco che le fila degli eventi di quaggiù mettessero capo in man di Dio, dandosi così unità a tanta varietà.

E per vero come indovinarlo? le nazioni camminavano ciascuna per una via propria, distinte una dall' altra; il libero arbitrio dell' uomo, la forza, le vittorie, le sconfitte decidevano della loro fortuna. Solo il cristianesimo poteva annunziare che gli uomini sono tutti fratelli, che Cristo è centro dell'umanità, e che l'estendersi del suo regno è il fine cui le umane cose vengono dirette anche da ciò che sembra ad esse opporsi. Le persecuzioni aveano di ciò offerto una dolorosa ma incontrastabile prova; e i Padri della Chiesa acclamarono, che l'attuazione del vangelo è lo scopo a cui la Providenza governa le cose del mondo. Da questo punto di vista osserva Agostino gli avvenimenti, introducendo quella che modernamente si chiamò filosofia della storia. Dalle sublimi considerazioni scendendo alla pratica, consiglia i membri della città divina a con

servarsi soggetti e quieti finchè sono misti con quelli della terrestre; pregare anche per questi, onde goder la pace temporale, che è un bene comune ai buoni e ai malvagi.

ATTILA
(133-453)

Gli Unni, varcato il Danubio, misero a sacco la Tracia e minacciarono Costantinopoli; se non che la peste li sterminò. Roila riceveva da Teodosio il Giovane l'annuo tributo di trecencinquanta libbre d'oro (570,000 lire) per tenersi tranquillo; forse con Ezio menò perfide pratiche; ma appena ebbe conchiuso nuovi accordi con Valentiniano III, mori, lasciando il principato al nipote Attila.

Deforme figura, carnagione olivigna, testa grossa, capelli brizzolati, piccoli occhi affossati, naso simo, pochi peli al mento, corporatura tozza e nerboruta, fiero il portamento e la guardatura, come d'uomo che si sente vigoria superiore a quanti lo circondano, tale ci è descritto Attila. Sua vita era la guerra, pure sapea frenarsi: severo nel pretendere giustizia, considerava per tale la sua propria volontà; pure ai supplichevoli mostravasi esorabile, propizio a chi in fede ricevesse. Nè soltanto nella forza fidando, fece spargere di quelle ubbie che allettano la plebe. Una vitella tra il pascolare si ferisce un piede e il pastore meravigliato cerca fra l'erbe, e vede sporgere la punta di una spada, ch'egli trae fuori e reca ad Attila; il quale mostra accettarla come un dono del dio della guerra, e un segno della dominazione universale. La stella cade (diceva), la terra » trema, io sono il martello del mondo, e più non cresce erba > dove il mio cavallo ha posto piede ». Avendolo un eremita chiamato Flagello di Dio, adottò questo titolo come un augurio, e convinse le genti che lo meritava.

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Da principio sgomenta Teodosio il Giovane, che, a prezzo d'oro, compra una pace vergognosa, oltre concedergli libero mercato in riva al Danubio, e restituirgli quanti sudditi suoi erano rifuggiti nelle provincie imperiali: avuti i quali, e tra essi alcuni giovani di regia stirpe, Attila li fa crocifiggere. Al

CANTU. Caratteri storici.

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ora osteggia i Barbari di varia nazione, stanziati od erranti nel centro dell' Europa: Gepidi, Ostrogoti, Svevi, Alani, Quadi, Marcomanni si piegano o son ridotti all' obbedienza di lui, o che stende dai Franchi agli Scandinavi il dominio, il terrore per tutto il mondo: una folla di re lo corteggia, settecentomila guerrieri aspettano dal suo cenno qual paese abbiagli designato la vendetta di Dio. Ed egli, dal barbaro volgendosi al mondo incivilito, assale la Persia, ma respinto, ascolta al vandalo Genserico, e si avventa sull'impero romano; e distesi i suoi Barbari in una terribile linea di cinquecento miglia dall'Eusino all' Adriatico, manda a dire a Valentiniano e Teodosio: Preparatemi un palazzo ».

Tre segnalate vittorie lo recano fino ai sobborghi di Costantinopoli. Devastate settanta città, ridotto in servitù chi campava dal ferro, pretese che Teodosio cessasse d'intitolarsi signore della contrada che si estende dal Danubio fino a Naisso e alla Nava in Tracia; poi qualora volesse premiare qualche suo benemerito, lo spediva alla corte di Costantinopoli ad insultar l'imperatore nel suo palazzo, col pretesto di chiedere l'adempimento de' patti, ma in realtà per farsi impinguare di doni dallo sbigottito augusto.

Satollo di vittorie e di sangue, Attila ricoveravasi a riposo, non in alcuna città, ma nel proprio accampamento fra il Danubio, il Theiss ed i Carpazj, in quei campi d'Austerlitz, che divennero poi famosi per segnalata vittoria napoleonica. Colà i vincitori del mondo e le loro donne compiacevansi attestare i loro trionfi coll'oro e le gemme onde fregiavano la persona fin alle scarpe, le spade, le bardature, e col vasellame d'oro e d'argento cesellato onde caricavano le mense. Attila solo, che sembra gigante perchè montato su tante ruine, e innanzi al quale tremava ognuno dal Baltico all' Atlante e al Tigri, ostentava non portare altro ornamento che d'armi; a tavola usava coppe e taglieri di legno, nè mangiava che carne e pane. Ivi accolse le umili e pompose ambasciate degli imperatori romani, ai quali a prezzo concedette di sopravvivere ancora alquanto.

Ma il nuovo imperatore Marciano, ad Attila, che mandava arrogantemente a chiedere il tributo, rispose: Oro ho per

› gli amici, pei nemici ferro». Ultima voce romana. Attila si risolve alla guerra, e muove dal fondo dei pascoli pannoni esitando, Mi drizzerò all'oriente o all'occidente? cancellerò › dal mondo Costantinopoli o Roma?» Una serie d'accidenti il determinò vêr questa: e si difilò sopra le Gallie dove lo chiamava anche l'alleanza dei Franchi, che colà avevano preso stanza dal Reno fin alla Somma.

Se occorrevagli un'ombra di diritto, gliel' offerse Onoria, sorella di Valentiniano III, che', relegata per aver amato il ciambellano Eugenio, spedi un eunuco ad Attila, esibendogli l'anello e le ragioni ch'essa poteva offrirgli come moglie. L'Unno mandò a chiedere formalmente la mano d'Onoria come già sua fidanzata, e con lei mezzo l'impero. Le donne romane > non hanno diritto alla successione», gli fu risposto: e la principessa venne maritata di nome ad un uomo oscuro, indi chiusa in perpetuo carcere. Attila allora aduna un nuvolo di popoli germani e di vassalli od alleati, stermina molte città della Gallia, ed assedia Orléans.

Un generale romano, purchè riuscisse ad unire un esercito, poteva fare gran fondamento sulla superiorità che la tattica gli dava sopra di gente ragunaticcia, ricca soltanto di personale valore. Lo senti Attila, il quale, ingombrato più che soccorso dalla moltitudine raccozzata, conobbe la titubanza, e levatosi d'attorno ad Orléans, e ripassata la Senna, attese il nemico nelle pianure Catalauniche sulla Marna, opportune ai volteggiamenti della cavalleria.

Nella battaglia, con poca arte e assai furore travagliata, cencinquantamila cadaveri copersero le rive della Marna, ma ai Romani restò il vanto: e fu l'ultima 'gran vittoria che si riportasse in nome degli antichi signori del mondo Attila si ritirò dietro la trincea de' suoi carri, e la notte canticchiava battendo le armi, a guisa di leone che rugge nella caverna dove l'hanno ridotto i cacciatori. Preparatosi alla difesa, accatastò le selle e le gualdrappe de' suoi cavalli, disposto a bruciarvisi vivo acciocché nessuno potesse vantare d'aver preso od ucciso il sire di tante vittorie. Ivi aspetta un attacco; ma al silenzio della campagna s'accorge che il nemico s'era ritirato, ed anch'egli rivarca il Reno, e costeggiando il Danubio torna in Pannonia.

A primavera s'accinge a nuova invasione, e chiesta ancora la mano di Onoria col patrimonio di essa, e ancora disdetto, mettesi in marcia, valica le Alpi, e invade la pianura che l'Isonzo, il Tagliamento, la Livenza, la Piave, il Musone, la Brenta, l'Adige, il Sile avevano formata presso ai lenti loro sbocchi in mare. Era stata popolata dai Veneti Paflagoni, i quali colla caccia e la pesca viveano in quelle lagune, che offrivano breve tragitto fra Aquileja e Ravenna: vestiti alla greca con tuniche a maniche, larghi calzoni, il pileo in capo, e molto curandosi dei cavalli. Il paese che con nome generico chiamavasi le Venezie, fioriva per le città di Concordia, Opitergio, Patavio, Altino ridente di ville quanto il lido di Baja, e principalmente Aquileja.

Ad Aquileja pose assedio Attila colle macchine fabbricategli da' disertori, e col dispendio di vite incalcolate. Gl'Italiani nel difenderla mostrarono che l'antico valore non mancava in essi del tutto, qualora o non li disgustasse la dotta oppressione, o non gl'impedisse la gelosia degli imperatori. Dopo tre mesi di vani attacchi, Attila per disperato levava già il campo, quando nel girare vede una cicogna che s' appresta a fuggire co' puleini suoi da una torre dove aveva posto nido. La città sta » per cadere, se l'abbandonano fin animali così fidi », egli dice: e con tale augurio ravvivato lo stanco coraggio de' suoi, li mena con superstiziosa foga all'assalto. S'apre la breccia, ed Aquileja ruina per più non risorgere. Altino, Concordia, Patavio vanno a strazio uguale; e gli abitanti sbigottiti, dal continente cercano rifugio tra gli isolotti della laguna, primo nocciolo della città e della republica che dovea conservare il libero imperio più a lungo che Roma.

Internatosi allora fra terra, Attila mandò a pari guasto Vicenza, Verona, Bergamo: Pavia e Milano si ricomprarono dal fuoco col cedere tutte le ricchezze e colla pronta sommessione. Attila, entrando nella reggia a Milano, e visto una pittura dove gl' imperatori erano rappresentati sul trono in atto di calpestar re Barbari, sorrise, e vi fece istoriare i cesari, versanti sacca d'oro a' piedi di lui vincitore.

Nell' universale scoraggiamento, Leone papa ed Avieno romano consolare presero il partito di condursi supplichevoli al

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