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quel plauso che il dolore aveva un mese addietro impedito. Visto istituiti. ricevette omaggi. e profuse onori, e con bellissimo consiglio fece generoso assegno ad Alessandro Manzoni, mantenutosi sempre « vergin di servo encomio »; tutta Milano si tenne onorata nel suo concittadino.

Colla visita del re cessarono i poteri di governatore interinale del senatore Vigliani, partito il quale diedesi mano alla organizzazione amministrativa e civile dello Stato.

Tanto negli antichi come nei nuovi dominj si riordinarono le provincie, scemandone il numero, e furono; Cagliari, Sassari, Chambery, Annecy, Torino, Novara, Cuneo, Alessandria, Nizza e Genova; in Lombardia și dimezzò tra Cremona e Milano la provincia di Lodi, e tra Brescia e Cremona la parte occidentale del Mantovano; Pavia si ebbe un territorio oltre Ticino ed oltre Po come in antico; la Valtellina, Bergamo, Como non subirono mutazioni notevoli. I presidi si chiamarono governa tori. A compensare Milano del principesco onore perduto, Rattazzi propose di trasferirvi da Torino la Corte di Cassazione, conferendole con ciò il grado di capitale giudiziaria di tutto il regno. Approfittando poi de' pieni poteri, a dire il vero, conferiti soltanto per i provvedimenti di guerra, e per la difesa delle libere istituzioni, il ministro pubblicò una serie di leggi, alcune delle quali erano frutto di studj antichi, altre poco meno che improvvisate, e furono: la legge comunale e provinciale, quelle sul Consiglio di Stato, sulla Corte dei conti, sul contenzioso amministrativo, sulla pubblica sicurezza, sulla istruzione; i codici penale, civile e militare, e di procedura civile e criminale. Tutta questa operosità, che pure aveva un lato degno d' encomio, e sembrava anco necessaria ad escludere ogni idea di ristabilimento dell' antico, ed a rimovere velleità autonomistiche, diede luogo a notevole malcontento, che

NUOVO ORDINAMENTO. SCONTENTO IN LOMB. LA TOSCANA 175

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la stampa lombarda cui non pareva vero d'essere sbavagliata, aizzava in ogni guisa, tacciando gli atti d'incostituzionali, e spargendo querele e sospetti sul prolungamento dei pieni poteri, e sull'indugio a convocare la rappresentanza nazionale, sola interprete dei bisogni e dei desiderj del paese; senza riflettere che non essendosi ancor diplomaticamente effettuata l'annessione, questo era impossibile. Seguendo poscia il vezzo contratto nella lunga servitù, di osteggiare tutto quello che viene dal Governo, censuravansi con acrimonia le novazioni in sè stesse; e come prima s'erano proclamate assurde, intolleranti (e guai a chi avesse detto altrimenti!, leggi e pratiche amministrative dell' Austria, ora affettavasi indipendenza ed imparzialità lodando quelle oltre il merito, e deprimendo le nuove; qui i pochi austriacanti, i municipalisti, gli ambiziosi delusi s'univano al coro, ed intonavano contro i Piemontesi apostrofi e motteggi, che ricordavano le colpevoli insanie del 48, addoloravano le perso ne sennate, e sonavano ben a dritto ingratissimi al di là del Ticino. Ma sopratutto si aggravò appassionatamente il Rattazzi, come odiatore della Lombardia, lui che aveva già perorato per la primazia di Milano; ed a straziarlo viepiù traevasi argomento dalla politica lente e circospetta del suo gabinetto, al quale apponevasi di non aver fede nei nazionali destini, di cedere vilmente ai voleri dell' imperatore de' Francesi.

Giorno d'immensa trepidazione e d'ambascia per l' Italia centrale fu quello in cui venne annunziata la pace. In Firenze si tumultuò all'ufficio del giornale che primo n' avea fatto parola, nè mancarono istigazioni insensate o ribalde per ispingere il popolo contro la dimora dell'ambasciatore francese. Anche l'aspetto degli altri luoghi, senza però dar luogo a gravi casi, torbido e minaccioso divenne, e dovunque fu un rimescolarsi

di estremi partiti per rivolgere ai loro fini le sommosse passioni. I patrioti, come desti da uno splendido sogno, scorgevano nell'avvenire, prima l'anarchia, quindi la reazione; ma lo scoramento fu passaggiero, e bene apprezzando le forze proprie del partito liberale, sentirono che nella concordia di tutte le frazioni di quello nei mezzi e nello scopo stava la salvezza; videro potere ancora esser arbitri de' proprj destini fondendosi in uno Stato, nel quale l'autorità d'un re popolare assicurasse contro le intemperanze demagogiche, e la forza facesse rispettati al di fuori o preservasse allo interno dalla pessima tra le rivoluzioni, la ristorazione. Per tal guisa la pace di Villafranca ispirata, almeno in parte, dal proposito di arrestare la rivoluzione e di contrastare all' unificazione, servì invece mirabilmente renderla più compatta, più rapida, e necessaria.

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Se tutto questo, facile ad idearsi, grave a mettersi in opera, aveva il vantaggio di presentare una linea di condotta nettamente tracciata e precisa, non diffi. cile per coloro che, o dai proprj precedenti o dalla propria ambizione o dal voto pubblioo, erano collocati alla testa del popolar movimento, altrettanto non poteva dirsi riguardo al ministero torinese, il quale, pur bramando (disconoscerlo sarebbe ingiustizia) soddisfare al voto delle popolazioni, trovavasi stretto dalle stipulazioni di Villafranca e dalla volontà esplicita del potente alleato, epperciò, avuto riguardo che il protettorato veniva assunto per la sola cooperazione alla guerra, ed alla opportunità di lasciar libera l'espressione della volontà popolare, ordinò ai regj commissarj a Firenze, a Bologna, a Modena, a Parma di rassegnare ogni autorità, e di allontanarsi. Ma quando quest'apparente abbandono ebbe luogo, le popolazioni erano già rassicurate che la protezione del re non verrebbe lor meno; e da parte di Napoleone, a cui non mancarono deputazioni ed ambasciate, che i legittimi voti

PROCLAMASI L'UNIONE AL REGNO DI VITTORIO EMANUELE 177

non sarebbero respinti, e che, in ogni caso, per istabilire un qualsifosse ordine politico non sarebbesi usata la forza.

Nè si stettero paghi a parole. A Firenze, prima che il commendatore Boncompagni si allontanasse, il Governo, richiamata in vigore la legge elettorale del 3 maggio 1848, e date opportune disposizioni pei comizj, convocò per l'undici d'agosto l'assemblea toscana onde pronunciasse intorno la sorte futura dello Stato, e già i municipj, ad esempio del fiorentino, anticipando il voto dei rappresentanti, chiedevan in folla di far parte del regno italico di Vittorio Emanuele II. Ai deputati accolti in palazzo Vecchio, Bettino Ricasoli presidente del Consiglio de' ministri, nel quale s'era ridotta la podestà suprema, Ricordiamoci (diceva) che mentre in quest'aula, da tre secoli muta alle voci della libertà, trattiamo di cose toscane, il nostro pensiero deve mirare all'Italia. Il municipio senza la nazione sarebbe oggi un contro senso. Senza clamori, senza arroganza, diciamo quello che vogliamo essere; la Toscana darà un grande esempio ».

Il 13 agosto, posto a scrutinio segreto, venne a pieni voti, tra prolungati applausi, sancito che la dinastia austro-lorenese non si potesse nè richiamare, nè ricevere a regnare di nuovo sulla Toscana »; e con altrettanta unanimità dichiarato, questa essere ferma di far parte d'un forte regno costituzionale sotto lo scet tro di Vittorio Emanuele ».

Inondaya Torino immensa letizia, e quale di chi raggiunge un bene ch'era follia sperare, nel giorno 3 settembre, in cui i messi toscani, preceduti dal conte Ugolino della Gherardesca, s'avviarono alla reggia per presentare il voto dell'assemblea all'acclamato monarca. E sebbene re Vittorio dichiarasse che (1) l'a

(1) Gazzetta Piemontese del 3 settembre 1859.

dempimento di quel voto dipendeva dai negoziati che doveano aver luogo per lo assettamento delle cose italiane ", le lodi al contegno della Toscana ed i conforti a bene sperare furono tali, che il Governo di Firenze ron dubitò d'annunziare che d'allora in poi avrebbe esercitato il potere in nome di Vittorio Emanuele re eletto, e questa forma si appose gli atti pubblici, e si impresse sulle monete.

Contemporaneamente a quella di Toscana colla stessa calma e con maggiore abbandono, perchè senza riserve autonomistiche, votarono l'annessione le provincie emiliane.

Entrato appena Massimo d' Azeglio commissario in Bologna, accolto con immensa esultanza, ed illimitata fiducia, gli giunse ordine che poneva fine alla sua missione tutta militare, e lo chiamava in Lombardia colle truppe e cogli offiziali civili. Il cavaliere leale senti debito d' onore non obbedire (1). Là sulla frontiera stavano minacciosi gli Svizzeri di Perugia; allo interno i democratici eccessivi non attendevano che la sua partenza per far rumore; ond' egli, in luogo di concentrarsi, distaccò, senza sguernire Bologna, novemila tra Piemontesi e truppe di Romagna, organizzate dai generali Mezzacapo e Roselli, e li inviò verso il confine; e perchè non venisse meno al Governo l'appoggio morale del re, trasmise i suoi poteri al colonnello Falicon, il quale abbandonò il portafoglio della guerra a Ferdinando Pinelli. Partito lo Azeglio (2), il ministero elesse fuori del proprio seno Leonetto Cipriani a capo del Governo, e prima cura ne fu convocare l'assemblea

(1) AZEGLIO. L'Italie de 1847 a 1865, Correspondence politique, XLVII.

(2) Giunto a Torino, e presentatosi al re; « Sire (disse), V. M. può mettermi sotto consiglio di guerra, perchè ho formalmente disobbedito a' suoi ordini »; ma date spiegazioni, ebbe da Vittorio approvazione e lode Correspondence politique, XVII.

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