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perchè sua Santità movesse loro guerra. Furono eletti Luigi di Giovanfrancesco de' Pazzi, il quale allegando, che per esser crepato non poteva cavalcare, rifiutò, e Pierfrancesco Portinari, agli sedici e diciassette per ordine della signoria fu creato Andrevuolo Niccolini e a ventuno Francesco Vettori, il quale s'era rifuggito a Pistoia, e Jacopo Guicciardini; e mentrechè si mettevano in ordine per partire, spedirono in poste Francesco Nasi, che facesse intendere a sua Beatitudine, come le mandavano quattro oratori, e la pregasse umilmente, che fosse contenta di fare, che l'esercito infin' a tanto ch' ella gli udisse, fermare doves sesi, la qual cosa Clemente non volle fare: Erano in questo mentre il vicerè e tutte le genti nimiche entrate ostilmente in sul Fiorentino, e arrivate il giorno di santa Croce sotto Cortona, fu mandato un trombetta a chiedere per parte dell' illustrissimo monsignore Filiberto di Scialon vicerè di Napoli e capitano generale del felicissimo esercito Cesareo, in nome e passo e vettovaglia, in fatto la possessione della città. Ma Carlo Bagnesi, il quale v'era in quel tempo capitano, non volle, che se gli rispondesse nè bene nè male, onde il marchese del Guasto preso l'assunto di volerla battere e assaltare diede ordine spacciatamente a quanto voleva, che si facesse. Erano in Cortona tre capitani colle loro bande; Marco da, Empoli soldato non solo animoso e pratico, ma prudente, Goro da Montebenichi ed il signor Francesco Sorbello; a questi tre se n'ag

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giunsero tre altri, i quali tornando a sorte da Bettona per andarsene a Firenze, profersero opera loro. loro, e furono accettati dentro per la porta del soccorso della rocca, della quale era capitano Giuliano del Vigna. Questi furono il signor Lodovico Sorbello fratello del signor Francesco, Ridolfo da Scesi e Iacopo Tabussi, i quali fra tutti e sei non avevano più che settecento fanti. Il marchese corso e preso impetuosamente il borgo, e battuto coll'artiglieria la porta di san Vincenzio, onde s'esce per andare all' Orsaia, diede l'assalto a scala vista, come dicono, ed alla fine combattendosi tultavia coraggiosamente dall' una parte e dall' altra vi fece metter dentro il fuoco, il quale s' appiccò gagliardamente, ed era per fare molto danno; ma i tre capitani Ridolfo Iacopo e 'l signor Lodovico, i quali v' erano alla guardia, spensero il fuoco e difesero la porta più che valentemente, ammazzandone molti e molti ferendone, parte cogli archibusi, parte coll'arme ad aste, e parte con sassi. Il medesimo fecero gli altri tre capitani il signor Francesco Marco e Goro dall' altra parte, dove i nimici scalavano di già le mura a canto della chiesa cattedrale. Restarono morti dalla parte di dentro tra nell' uno e nell' altro luogo fra soldati e térrazzani più di settanta, e di quella di fuori meglio che dugento con alcune persone di conto e tra queste un nipote d' Orange, il quale toccò una moschettata ne' membri genitali; i feriti tra di quà e di là furono assai ed oltra il Secura e Alfonso di Vaglia capitani

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Spagnuoli di molto valore, i quali furono feriti a morte, il marchese stesso, mentre brigava di salire sopra i bastioni, per una percossa d'una sassata, ch' egli ebbe, ancorachè non gli facesse troppo male, rispetto alla celata, ch'egli aveva in testa tutta guarnita d'oro, e piena di molti spennacchi, cadde in terra tramortito ; onde bisogno, che fatto sonare a raccolta se ne ritornassero più che di passo agli alloggiamenti; ma rinvenuto il marchese, e deliberato di volere dare nuovo assalto la mattina seguente con maggiori forze, comandò, che ciascuna delle nazioni conducesse la notte il suo pezzo d'artiglieria alla muraglia, la quale artiglieria aveva Papa Clemente fatta cavare, parte da castel Santagnolo e parte dalla rocca di Cività Castellana. Ma gli uomini di Cortona eletti sopra la guerra, guerra, i quali erano sei, Lorenzo Squatrini, Lorenzo Papperelli, Ferroso Ferrosi, Michelagnolo Pecci, Matteo Ghini e Matteo Buoni, o per le minacce del marchese, parendo loro non aver genti a bastanza, comechè vi mancassono piuttosto munizioni, che soldati, essendo la terra per la positura del sito e qualità delle mura, piuttosto inespugnabile, che forte; o perchè avevano inteso il caso d'Arezzo, e dubitando di non essere abbandonati anch'essi, o perchè v'erano di quelli, i quali avevano caro di veder cose nuove mandarono occultamente tre uomini, messer Iacopo Vagnucci Antonio Tommasi e Orsello Orselli al principe, i quali senza far menzione alcuna de' soldati, che sì valentemente difesi

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gli avevano, e che erano sì pronti a volergli difendere, s'accordarono agli diciassette di dovergli dare ventimila ducati, ed egli salvasse loro l'onore e la vita. I sei capitani udito cotale accordo chiamando i Cortenesi ingrati e traditori si ricoverarono con Carlo e con Giuliano nella rocca, e quivi consultando quello, che fare si dovesse e varie oppinioni avendo, furono confortati dal conte Rosso, del quale favelleremo di sotto, di dovere andare a Camuccia, quindi lontana un miglio, dove si trovava il principe, promettendo, che se le condizioni da sua eccellenza proposte non fussero loro piaciute, se ne sariano potuti ritornare liberi a Cortona. Andarono dunque a Camuc- cia; ma il principe senza volergli vedere non che ascoltare, fece por loro le guardie, e così guardati se gli faceva camminar dietro appiè, e intanto mandò a Cortona a fare, che i loro fanti fussero svaligiati, perchè mentrechè, come era loro comandato, uscivano a uno a uno per lo sportello della porta Montanina, trovarono chi subitamente gli spogliava; il che fatto mandò il principe per i sei capitani e offerse loro, se volevano con esso lui rimanere, che darebbe a tutti soldo, ma nessuno accettò; onde egli con patto, che non potessero in quella guerra servire contra Cesare, diè loro licenza ; ma eglino non avendo altri mantenuto la fede. a loro, non pensarono d'essere obbligati a doverla mantenere ad altrui. Carlo e Giuliano rimasero amendue prigioni trovandosi nella roc

nella quale gli Spagnuoli fra danari e gioie

insegnate loro da Morgante Corsi, figliuolo del provveditor Fiorentino, tolsero alle donne, che quivi co' loro miglioramenti rifuggites' erano, la valuta di più che tremila fiorini. Nè voglio lasciare indietro, come tre insegne d' Italiani, promettendo ad alcuni Cortonesi di volergli salvare dal sacco, ed occisione degli oltramontani, se gli lasciavano entrar dentro, avevano incominciato a salir le mura, e senza dubbio sarebbono scesi nella terra ed arebbonla saccheggiata, perchè tutti gli altri capitani con tutti i loro soldati erano nella rocca, se non che il capitano Goro, il quale con Cristofano Nacchianti da Montevarchi suo banderaio ed altri soldati andando diligentemente circuendo le mura vi s' abbattè, e con maraviglioso ardire gli ributtò; onde ancor onde ancor oggi confessano i Cortonesi d'essergli in obbligo non solo delle persone e della roba, ma ancora dell' onore. E perchè il capitan Ridolfo si portò non meno umanamante verso loro, che ferocemente contra i nimici, lo fecero con gratissimi animi loro cittadino, e gli donarono cortesemente case e possessioni, le quali egli ancora oggi felicemente si gode. E certo, che la colpa di perdere Cortona, la quale con ogni piccolo soccorso si sarebbe potuta difendere, si può così alla molta o negligenza o impotenza de' Fio rentini, come alla poca o fede o ubbidienza de' Cortonesi attribuire. Gli uomini di Castiglione Aretino, ovvero Fiorentino, come dicono essi, ne' quali si può lodare più l'animo di volersi, che la credenza di potersi tenere

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